Conversione di San Paolo - Parrocchia Santi Filippo e Giacomo di Parona

Parrocchia Santi Filippo e Giacomo Parona - VR -
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Conversione di San Paolo

Lezionario Santi  At 22,3-16      Lectio

oppure     At  9,1-22     Lectio

Salmo Responsoriale:  Salmo 116

Canto al Vangelo: Gv 15,16

Vangelo: Mc 16,15-18     Lectio
Il 25 gennaio la cristianità celebra la conversione di Paolo. La “folgorazione sulla via di Damasco” è il momento culmine in cui da persecutore dei cristiani, Saulo o Paolo di Tarso sente la voce di Cristo e sceglie di battezzarsi.
Paolo diventerà così uno dei più fervidi missionari, oltre a essere considerato il primo teologo grazie alle 13 lettere del Nuovo Testamento, in cui si rivolge alle comunità trattando temi teologici e filosofici. Questa festività ricade al concludersi della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. In questi giorni le varie confessioni cristiane pregano per una chiesa unita.
La conversione di Paolo, da persecutore a missionario
Prima della conversione, Paolo era un fariseo ovvero un ebreo che difendeva strenuamente la legge ebraica. La comunità cristiana appena nata, che prendeva le distanze dai rigidi formalismi ebraici mettendo Gesù al centro del percorso di redenzione, scatenava le ire di Paolo. Eppure, lungo la strada per Damasco dove avrebbe ricevuto l’autorizzazione a incarcerare i cristiani, avvenne il miracolo.

Secondo quanto riportato nella Bibbia:
All’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla.

Sant’Agostino e Caravaggio
Condotto a Damasco dai suoi compagni, Paolo rimase cieco per tre giorni fino a quando non ricevette il battesimo. Questo significativo passo degli Atti degli Apostoli ha acquisito fin da subito un grande valore per i cristiani. Lo stesso Sant’Agostino mette la propria conversione a confronto con quella di San Paolo. Anche nell’arte ne ritorna spesso la raffigurazione.
Forse la più nota è quella di Caravaggio, conservata nella Cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma. Qui il sapiente gioco di luci coglie l’estrema drammaticità del momento in cui Paolo cade da cavallo e spalanca le braccia accogliendo il messaggio divino.
Questa festa, istituita in Galilea nel secolo VIII in occasione della traslazione di alcune reliquie dell’apostolo, entrò nel calendario romano solo sul finire del secolo X.
La «conversione» di san Paolo sta alla base di molti e importanti elementi della sua dottrina, in particolare del tema della potenza della grazia divina, capace di trasformare il feroce Saulo persecutore della Chiesa nell’«Apostolo» per eccellenza.
Questa conversione è certamente uno dei più importanti avvenimenti della storia della Chiesa, che è debitrice a Paolo dello slancio dell’evangelizzazione tra i pagani, e della prima riflessione teologica sul messaggio cristiano.

Paolo sopportò ogni cosa per amore di Cristo
Dalle «Omelie» di san Giovanni Crisostomo, vescovo

Che cosa sia l'uomo e quanta la nobiltà della nostra natura, di quanta forza sia capace questo essere pensante, lo mostra in un modo del tutto particolare Paolo. Ogni giorno saliva più in alto, ogni giorno sorgeva più ardente e combatteva con sempre maggior coraggio contro le difficoltà che incontrava. Alludendo a questo diceva: Dimentico il passato e sono proteso verso il futuro (cfr. Fil 3, 13). Vedendo che la morte era ormai imminente, invita tutti alla comunione di quella sua gioia dicendo: «Gioite e rallegratevi con me» (Fil 2, 18). Esulta ugualmente anche di fronte ai pericoli incombenti, alle offese e a qualsiasi ingiuria e, scrivendo ai Corinzi, dice: Sono contento delle mie infermità, degli affronti e delle persecuzioni (cfr. 2 Cor 12, 10). Aggiunge che queste sono le armi della giustizia e mostra come proprio di qui gli venga il maggior frutto, e sia vittorioso dei nemici. Battuto ovunque con verghe, colpito da ingiurie e insulti, si comporta come se celebrasse trionfi gloriosi o elevasse in alto trofei. Si vanta e ringrazia Dio, dicendo: Siano rese grazie a Dio che trionfa sempre in noi (cfr. 2 Cor 2, 14).

Per questo, animato dal suo zelo di apostolo, gradiva di più l'altrui freddezza e le ingiurie che l'onore, di cui invece noi siamo così avidi. Preferiva la morte alla vita, la povertà alla ricchezza e desiderava assai di più la fatica che non il riposo. Una cosa detestava e rigettava: l'offesa a Dio, al quale per parte sua voleva piacere in ogni cosa. Godere dell'amore di Cristo era il culmine delle sue aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Senza di esso al contrario nulla per lui significava l'amicizia dei potenti e dei principi. Preferiva essere l'ultimo di tutti, anzi un condannato, però con l'amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più potenti del mondo, ma privo di quel tesoro. Il più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato perdere questo amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l'unica sola pena, il più grande e il più insopportabile dei supplizi. Il godere dell'amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo, condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene. All'infuori di questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava alle cose sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le rivoluzioni di popoli perdevano ogni mordente. Pensava infine che la morte, la sofferenza e mille supplizi diventassero come giochi da bambini quando si trattava di sopportarli per Cristo.

Fonte - Maràn athà Vieni, Signore Gesù! -
Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo.

Oggi vediamo la potenza di Dio in san Paolo, divenuto da persecutore Apostolo che ha accolto la fede in Cristo e l'ha diffusa, con una fecondità apostolica straordinaria, che non è ancora cessata. Ma poiché siamo ancora nella settimana dell'unità, riflettiamo su alcuni aspetti della conversione di Paolo che si possono mettere in relazione con l'unità. San Paolo si preoccupava al massimo dell'unità del popolo di Dio. Fu proprio questo il motivo che lo spingeva a perseguitare i cristiani: egli non tollerava neppure il pensiero che degli uomini del suo popolo si staccassero dalla tradizione antica, lui che era stato educato, come egli stesso dice, alla esatta osservanza della Legge dei Padri ed era pieno di zelo per Dio. Ai Giudei che lo ascoltano dopo il suo arresto egli paragona appunto il suo zelo al loro: "... pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi". É dunque possibile essere pieni di zelo per Dio, ma in modo sbagliato. San Paolo stesso lo dice nella lettera ai Romani: "Essi hanno molto zelo, ma non è uno zelo secondo Dio", è uno zelo per Dio, ma concepito secondo gli uomini (cfr. Rm 10,2).

Ora, mentre Paolo, pieno di zelo per Dio, usava tutti i mezzi e in particolare quelli violenti per mantenere l'unità del popolo di Dio, Dio lo ha completamente "convertito", rivolgendogli quelle parole che rivelano chiaramente quale sia la vera unità. "Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti". Nelle tre narrazioni della conversione di Paolo molti dettagli cambiano: alcuni vengono aggiunti, altri scompaiono, ma queste parole si trovano sempre, perché sono veramente centrali. Paolo evidentemente non aveva coscienza di perseguitare Gesù, caricando di catene i cristiani, ma il Signore in questo momento gli rivela l'unità profonda esistente fra lui e i suoi discepoli: "Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti". Forse proprio allora Paolo ebbe la prima rivelazione del corpo di Cristo, del quale ha parlato poi nelle sue lettere. Tutti siamo membra di Cristo per la fede in lui: in questo consiste la nostra unità. Gesù stesso fonda la sua Chiesa visibile. "Che devo fare, Signore" chiede Paolo, e il Signore non gli risponde direttamente: "Prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia". Lo manda dunque alla Chiesa, non vuole per il suo Apostolo una conversione individualistica, senza alcun rapporto con gli altri discepoli. Egli deve inserirsi nella Chiesa, Corpo di Cristo, al quale deve aderire per vivere nella vera fede. Dopo la sua conversione Paolo ha conservato in cuore il desiderio di essere unito al popolo di Israele. Lo scrive nella lettera ai Romani con parole che non si possono leggere senza profonda commozione: "Dico la verità in Cristo, non mentisco, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli". Ogni cristiano dovrebbe avere questa tristezza continua, che non impedisce di essere gioiosi in Cristo, perché è una tristezza secondo Dio, che ci unisce al cuore di Cristo. E la sofferenza per il popolo di Israele che non riconosce Cristo, per i cristiani che sono divisi e non giungono all'unità che il Signore vuole.
Fonte – La Chiesa.it -
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