Presentazione del Signore - Parrocchia Santi Filippo e Giacomo di Parona

Parrocchia Santi Filippo e Giacomo Parona - VR -
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Presentazione del Signore

Prima Lettura: Ml 3,1-4   Lectio

Salmo Responsoriale:
 dal Salmo 23

Seconda Lettura: Eb 2,14-18    Lectio

Canto al Vangelo:
Lc 2,30.32   

Vangelo
: Lc 2,22-40 (forma breve: Lc 2,22-32)     Lectio
La legge mosaica prescriveva che, quaranta giorni dopo la nascita del primo figlio, i genitori si recassero al tempio di Gerusalemme per offrire il loro primogenito al Signore e per la purificazione rituale della madre.
Anche i genitori di Gesù si assoggettarono a questa prescrizione. Non fu, però, un rito come tutte le altre volte. Le altre volte, erano gli uomini che presentavano a Dio il loro figlio in segno di offerta; questa volta è Dio che presenta suo Figlio agli uomini. Lo fa per bocca del vecchio Simeone e della profetessa Anna. Simeone lo presenta al mondo come salvezza offerta a tutti i popoli, come luce che illuminerà le genti, ma anche come segno di contraddizione: come colui che metterà a nudo i pensieri dei cuori.
In ricordo di questo fatto, narrato dal Vangelo di Luca, sorse ben presto, in Oriente, una festa chiamata Hypapantè, cioè festa dell’Incontro. Più tardi si aggiunse il rito della benedizione delle candele e la festa prese il nome popolare di Candelora. Con ciò si voleva esprimere, con un segno visibile, la fede in Cristo quale “luce delle genti”. Le candele portate a casa servivano, tra l’altro, a rischiarare l’agonia di coloro che, tra un anno e l’altro, passavano da questo mondo al Padre.

Anche noi ripetiamo tali riti e dobbiamo sforzarci di cogliere il significato di questa bella festa. Per farlo, possiamo partire dai due nomi che la festa ha preso, rispettivamente, presso i fratelli Ortodossi e presso di noi: Hypapantè e Candelora: festa dell’incontro e festa della luce.

L’incontro di Gesù con Simeone e Anna nel tempio di Gerusalemme, appare come il simbolo di una realtà molto più grande: l’umanità incontra il suo Signore nella Chiesa. La cosa si ripete, su ben altra scala, anche oggi: nel nuovo tempio di Dio che è la Chiesa, gli uomini “incontrano” Cristo, imparano a conoscerlo, lo ricevono nell’Eucaristia, come Simeone lo prese tra le braccia. È l’esperienza, del resto, che facciamo ogni domenica: ogni volta, è un vero incontro tra di noi e con Dio.

Ma eccoci al secondo nome e al secondo simbolismo della festa: Candelora, festa della luce. Che significa tutta questa insistenza sul tema della luce? Che vuol dire portare a casa una candelina? Significa una cosa che ci sentiamo ripetere tante volte, ma che, forse, non abbiamo mai veramente capito. Che noi dobbiamo essere luce del mondo. E qui possiamo chiederci:
  • Che ne abbiamo fatto della nostra luce?
  • Che ne è stato di quella candela accesa nel nostro Battesimo?
  • Chi se n’è accorto?
  • Chi ha potuto riscaldarvisi?

La luce che Gesù ci ha affidato consiste in definitiva nel precetto dell’amore: Amatevi gli uni gli altri; amate anche i vostri nemici. È questa la luce che dobbiamo portare con noi, ogni volta di nuovo, dalla chiesa, per far luce a quelli con cui viviamo la nostra giornata. È, in senso evangelico, una luce posta sul candelabro il cristiano che si sforza di essere comprensivo con le persone, a cominciare dalle più vicine, che non ha parole amare di critica e di disapprovazione per tutti, che sa incoraggiare un piccolo sforzo di bene negli altri. È una luce colui che avvicina un anziano, sa capirlo, sa fermarsi un momento a parlare con lui e ad ascoltarlo. È una luce chi sa perdonare il parente, il collega. Una luce che riscalda, perché luce di amore.
Clicca sull'immagine per la benedizione delle candele
Per la Chiesa di Gerusalemme, la data scelta per la festa della presentazione fu da principio il 15 febbraio, 40 giorni dopo La nascita di Gesù, che allora l’Oriente celebrava il 6 gennaio, in conformità alla legge ebraica che imponeva questo spazio di tempo tra la nascita di un bambino e la purificazione di sua madre. Quando la festa, nei secoli VI e VII, si estese in Occidente, fu anticipata al 2 febbraio, perché la nascita di Gesù era celebrata al 25 dicembre.
  
A Roma, la presentazione fu unita a una cerimonia penitenziale che si celebrava in contrapposizione ai riti pagani delle «lustrazioni». Poco alla volta la festa si appropriò la processione di penitenza che divenne una specie di imitazione della presentazione di Cristo al Tempio. Il papa san Sergio I (sec. VIII), di origine orientale, fece tradurre in latino i canti della festa greca, che furono adottati per la processione romana. Nel secolo X la Gallia organizzò una solenne benedizione delle candele che si usavano in questa processione; un secolo più tardi aggiunse l’antifona Lumen ad revelationem con il cantico di Simeone (Nunc dimittis).
  
La presentazione di Gesù al Tempio è più un mistero doloroso che gaudioso. Maria «presenta» a Dio il figlio Gesù, glielo «offre». Ora, ogni offerta è una rinuncia.
 
Comincia il mistero della sofferenza di Maria, che raggiungerà il culmine ai piedi della croce. La croce è la spada che trapasserà la sua anima. Ogni primogenito ebreo era il segno permanente e il memoriale quotidiano della «liberazione» dalla grande schiavitù: i primogeniti in Egitto erano stati risparmiati. Gesù, però, il Primogenito per eccellenza, non sarà «risparmiato»,  ma col suo sangue porterà la nuova e definitiva liberazione.
 
Il gesto di Maria che «offre» si traduce in gesto liturgico in ogni nostra Eucaristia. Quando il pane e il vino - frutti della terra e del lavoro dell’uomo -  ci vengono ridonati come Corpo e Sangue di Cristo, anche noi siamo nella pace del Signore, poiché contempliamo la sua salvezza e viviamo nell’attesa della sua «venuta».
  
Accogliamo la luce viva ed eterna
 Dai « Discorsi » di san Sofronio, vescovo.
  
Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno se ne sottragga, nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi a tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce.
 
La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1, 9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1, 78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno. La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1,9) è venuta. Tutti dunque, fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
 
Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, è la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene.
 
Fonte  - Maràn athà  Vieni, Signore Gesù! -
I miei occhi hanno visto la tua salvezza.

Il vecchio Simeone, certo della promessa ricevuta, riconosce Gesù e la salvezza di cui il Cristo è portatore e accetta il compiersi della sua esistenza.
 
Anche Anna, questa profetessa ormai avanti negli anni, che aveva però passato quasi tutta la sua vita in preghiera e penitenza riconosce Gesù e sa parlare di lui a quanti lo attendono. Anna e Simeone, a differenza di molti altri, capiscono che quel bimbo è il Messia perché i loro occhi sono puri, la loro fede è semplice e perché, vivendo nella preghiera e nell’adesione alla volontà del Padre, hanno conquistato la capacità di riconoscere la ricchezza dei tempi nuovi.
Prima ancora di Simeone e Anna è la fede di Maria che permette all’amore di Dio per noi di tramutarsi nel dono offertoci in Cristo Gesù.
 
Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Mater” ci ricorda che “quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore” (n. 16).
 
 
Fonte – La Chiesa.it -
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